Auguri
Fiat
Di
Carlo Pelanda
Questa
settimana sarà decisiva per la conferma o il fallimento dell’accordo tra Fiat e
Chrysler che, nel tempo, porterà la prima ad
acquisire la seconda e, nell’immediato, a gestirla. La questione va ben oltre
le cronache economiche di settore perché riguarda la sopravvivenza o meno della
stessa industria automobilistica in Italia che è un pilastro portante, anche
per il suo enorme indotto, della nostra ricchezza nazionale. Credo, infatti,
che se l’azione della Fiat in America avrà successo ciò faciliterà la
sopravvivenza di questo settore industriale in Italia. Per questo, cioè per
interesse sistemico, dovremmo farle gli
auguri. Spiego.
Prima mi si
permetta, anche se i dettagli sono ben descritti nelle cronache dedicate, di
descrivere sommariamente il punto critico. Chrysler,
il più piccolo dei tre giganti di Detroit, non riesce ad andare avanti. Fiat ha
proposto di darle la sua tecnologia di piccole automobili efficienti e a basso
impatto ambientale, di fatto le auto stesse da produrre e vendere in America,
in cambio di azioni, fino alla maggioranza. A patto, però, che il governo statunitense
immetta liquidità (Fiat è in una contingenza finanziaria che non le permette
impegni finanziari ulteriori) e le banche creditrici accettino una
ristrutturazione del debito Chrysler. E che i
sindacati – americani e canadesi – accettino sia di trasformare in azioni il
loro credito previdenziale e sanitario nei confronti dell’azienda sia una
riduzione del costo del lavoro. In questa settimana i sindacati dovrebbero
confermare l’accordo. Resta lo scoglio delle banche creditrici che
guadagnerebbero, in apparenza, di più se Chrysler
fallisse e suoi beni fossero messi all’asta. L’Amministrazione Obama ha organizzato un team speciale per il settore auto,
sta sostenendo l’accordo con la
Fiat e sarà l’attore principale per la trattativa con le
banche. Le sensazioni sono buone e aspettiamo gli eventi incrociando le dita.
Qui concentriamoci, invece, sulla rilevanza geoeconomica
di questo affare. Il settore mondiale dell’auto è colpito dalla sovracapacità produttiva strutturale peggiorata dalla
crisi, prima di aumento del prezzo dei carburanti (2005 – 2008) e, poi,
recessiva. Proprio Marchionne, leader operativo della
Fiat, sintetizzò qualche tempo fa lo scenario futuro: resteranno pochi gruppi
al mondo perché per sopravvivere, cioè per mantenere il profitto, un’azienda
deve avere una capacità di produzione e vendita di almeno 5,5 milioni di
autovetture. I grandi numeri di produzione, infatti, bilanciano il poco
profitto per unità venduta e gli alti costi di ricerca e sviluppo. In tale
scenario si salverà solo chi acquisisce e si globalizza.
Chrysler è la scelta perfetta per la Fiat perché non implica
sforzi finanziari eccessivi, le apre il mercato statunitense dove non c’è e le
da una leva di scala per ulteriori acquisizioni. Il punto: se Fiat resta
indipendente ed acquisitrice dovrà anche aumentare gli investimenti in Italia.
Se, invece, resta così come è andrà in sofferenza e la produzione in Italia verrà
ridotta così come il volume dell’indotto. Le aziende francesi e tedesche,
sostenute pesantemente dai rispettivi Stati, hanno tutto l’interesse a togliere di mezzo un
competitore come Fiat per prendergli la quota di mercato in Europa ed altrove.
In caso di acquisizione gli investimenti e l’indotto sarebbero trasferiti fuori
dall’Italia e noi perderemmo capacità industriale. Da un lato, possiamo pensare
a ragione che il governo italiano farebbe di tutto per evitare un’acquisizione
dannosa ponendo condizioni al governo dell’acquirente europeo. Dall’altro, se
un’azienda perde indipendenza, alla fine, la politica può attutire l’impatto, ma poco. Sembra naturale,
pertanto, fare il tifo per la
Fiat che si è mossa con audacia per evitare un destino
negativo a se stessa e così evitarlo a tutti quegli italiani – e a una buona
parte di americani e canadesi - che vivono di produzione automobilistica. Non è
per nazionalismo economico, ma per
consapevolezza che nell’eurozona non c’è spazio per
tre potenze industriali. Francia e Germania, aziende e governi, hanno interesse
oggettivo a deindustrializzare l’Italia per estendere le loro produzioni nel
nostro mercato. L’Italia potrà sgusciare dalla morsa se le nostre imprese si
rafforzeranno diventando anche americane, come fatto, per esempio, da Finmeccanica. In questa competizione geoeconomica
il successo della Fiat non è una questione aziendale, ma di interesse
nazionale.
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